~TokioHotel's Fan Fictions~

IV capitolo, II parte

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Dollars1995
view post Posted on 3/8/2011, 12:40




Hush



Autore: Dollars1995
Titolo: Hush
Rating:R
Avvisi: Adult Contenent, Blood, Death Fic, Crossdressing, language, violence.
Genere: Romantico (solo in alcuni punti), Horror
Riassunto:

Prese la busta e fece schioccare la lingua in direzione della donna.
«Ci si vede tesoro.»
Un piercing alla lingua.


Licenza Creative Commons
Hush (Loveletter) by Dollars1995 is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported License.
Based on a work at dollars1995.wordpress.com.





IV.II Capitolo

.

••Kelsey••



La stanza nella quale si trovavano aveva le pareti di un bianco immacolato, quel genere di bianco che con il sole avrebbe potuto facilmente accecarti. Non c’erano finestre, se non per un minuscolo quadrato schermato da del vetro, il pavimento era rivestito di mattonelle bianco sporco dai bordi neri ed ai quattro angoli della stanza c’erano vasi stracolmi di fiori. Alcuni era posati anche lungo il muro su cui c’era la porta.

Un’arietta gelida faceva rabbrividire la gente che si trovava lì dentro e che, pur battendo i denti, rimaneva lì, seduta su quelle sedie pieghevoli e con il rischio di ritrovarsi con il sedere all’aria in meno di dieci minuti. Ogni tanto qualche singhiozzo spezzava il silenzio che regnava sovrano.

Di fuori, le donne stavano parlottando tra di loro, mentre gli uomini se ne stavano in disparte senza emettere una sola parola in segno di rispetto quel dolore del tutto inaspettato che aveva colpito quella famiglia sventurata.

Dalla porta sbucò improvvisamente una testolina bianca che fece sobbalzare coloro che piangevano. L’anziana signora incrociò gli occhi di una donna seduta proprio vicino alla bara posta al centro della stanza che erano rossi e gonfi di pianto e sonno.

A passi svelti le si avvicinò e la circondò con le proprie braccia, mentre l’altra le si stava attaccando addosso in cerca di un conforto che evidentemente non aveva ancora trovato. Accanto a lei erano seduti la figlia più grande di vent’anni e il figlio di soli dieci anni. Entrambi se ne stavano ad osservare il pavimento, ma era chiaro come la luce del sole che si stavano sforzando per cercare di non piangere di fronte a tutta quella gente.

I figli di Kelsey erano sempre stati un poco riservati nei confronti sia di parenti che di conoscenti ed anche in quell’occasione entrambi cercavano di mascherare le emozioni che li stavano travolgendo come se si fossero trovati in mare aperto proprio nel momento in cui si stava scatenando una tempesta fortissima.

Kelsey, che aveva oramai quarant’anni, si era attaccata a quella donna e le stava singhiozzando nell’orecchio parole incomprensibili per chiunque, anche se si fosse trovato in quella stanza.

«Zia, che ho fatto per meritarmi tutto questo, eh?» chiese singhiozzante. L’altra per tutta risposta le passò una sua mano nodosa in mezzo ai capelli e le baciò il capo.

La figlia maggiore si alzò da quella sedia di ferro seguita a ruota dal fratello e le si avvicinò. Le toccò il braccio e vide sua madre fare un salto.

«Andiamo a casa mamma. Hai bisogno di riposare. Ne abbiamo bisogno tutti.»

La donna si aggrappò ancora più forte alla zia che stava guardando fissa immobile la bara circondata di fiori che si trovava proprio alla loro sinistra. Gli occhi ambrati pieni di vita e di calore, improvvisamente divennero assorti, quasi vitrei.

Nella mente di Kelsey iniziarono a scorrere veloci immagini della vita di Ricky, da quando era nato fino a qualche giorno prima, quando era morto.

Improvvisamente divenne più docile di un barboncino lasciandosi prendere sottobraccio dai figli e portare via da quel luogo in cui il suo cuore aveva messo le radici in pochissimo tempo, l’ultimo posto in cui avrebbe potuto rivedere il corpo di quel ragazzo.

La figlia si sedette al posto di guida all’interno della macchina mentre il fratello si mise dietro assieme alla madre che guardava quel paesaggio con occhi languidi ed inespressivi. Per tutto il tragitto non emise una sola parola comprensibile ma mugugnò sempre come un’anima in pena, lasciando il figlio interdetto non sapendo assolutamente cosa fare e cercava con lo sguardo un qualche cenno da parte della sorella tramite lo specchietto retrovisore.

Quell’anno era il 1995 e quegli ultimi sei anni erano stati un inferno totale in casa Asselsein e nessuno voleva più parlarne, ma evidentemente il destino aveva altri programmi in mente. Evidentemente non gli era bastato l’altro funerale che avevano dovuto celebrare in famiglia, evidentemente si divertiva a vedere soffrire persone che nonostante tutto non avevano colpa di niente, si divertiva a mettere alla prova quella donna che sin dall’infanzia non aveva mai vissuto serenamente.

Ma Kelsey non avrebbe mollato tanto facilmente e questo lo sapevano tutti, anche il destino per quanto farabutto fosse.

Arrivati a casa salì le scale e si diresse a piccoli passi verso la camera vuota del figlio. Lì scrutò con occhi attenti tutta la stanza, sfiorò con la punta dei polpastrelli tutti i peluche che riempivano una mensola intera e si sedette sul letto perfettamente intatto.

Le si affacciarono alla mente immagini di una vita, dai più piccoli sorrisi ai più grandi dolori, le sfilarono davanti le vite dei suoi figli e quella del marito. Oramai non rimaneva che un piccolo nucleo completamente scombussolato della sua famiglia.

I suoi occhi iniziarono piano piano a farsi sempre più umidi finché alcune grosso lacrime non scivolarono sulle mani che teneva il grembo e con le quali si stava torturando quella povera gonna di jeans.

Non riusciva più a sopportare tutto quello, era stanca di tutto, persino della vita stessa. Alcune volte era arrivata a pensare anche che voleva farla finita con tutto e tutti, ma poi pensava al dolore aggiuntivo che avrebbero dovuto soffrire i suoi figli e sinceramente non voleva dar loro altri dispiaceri. Oltretutto aveva una paura matta di quel Dio che la stava prendendo palesemente gioco di lei, sua madre era una donna timorata di Dio e aveva inculcato nella testa della figlia alcuni concetti che non le erano più usciti, tra cui che il suicidio è peccato mortale e non si sarebbe salvata dalle fiamme dell’inferno.

Intanto i figli se ne stavano seduti in salotto sul comodo divano che era appartenuto ad una loro zia passata a miglior vita quindici anni prima. La più grande si guardava irrequieta le unghie ma non le stava veramente osservando, la sua mente vagava lontana da quella casa mentre l’altro aveva lo sguardo perso sul muro bianco.

Un silenzio regnava sovrano interrotto qualche volta dai singhiozzi sommessi della madre.

«Rania, perché capitano tutte a noi? Prima papà con un cancro e adesso Kevin, aveva solo tredici anni,» chiese alla sorella con la voce che iniziava ad incrinarsi e le lacrime che gli rigavano il volto ancora bambino.

Rania lo abbracciò, se lo strinse al petto e gli baciò la fronte mentre iniziava a piangere anche lei. «Non lo so, non lo so Blare.»

Tutto quello che si erano tenuti dentro durante tutti quei giorni uscì fuori come un vento tempestoso e riempì la casa di gemiti e singhiozzi.

Improvvisamente sentirono un paio di braccia che li strinse. Rania alzò il viso e vide sua madre che li guardava con un sorriso stanco e una lacrima incastrata tra le ciglia. Con delicatezza li baciò entrambi e mormorò qualcosa che non compresero ma che assomigliava molto ad un: «Fatevi forza, ricominceremo da capo.»




Note: So che è breve ma tra il caldo, la mancanza di voglia e la stanchezza la mia povera mente è riuscita a partorire solo questo. Il quinto capitolo è in fase di elaborazione. A presto <3
 
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