~TokioHotel's Fan Fictions~

Nuove Conoscenze, Capitolo 2

« Older   Newer »
  Share  
Dollars1995
view post Posted on 3/9/2010, 19:55




Capitolo II
Nuove conoscenze
 
Alla fine era ridisceso al pian terreno, là c’erano troppi ricordi che facevano ancora troppo male, eppure non voleva separarsene.
Aveva avuto più di un’occasione per trasferirsi, lui e la sua famiglia. Tuttavia, ogni volta che anche il solo pensiero sfiorava l’anticamera del suo cervello, gli mancava l’aria, proprio come se qualcuno lo strangolava.
Era rimasto attaccato al passato ed il passato sarebbe andato nella tomba con lui.
Non credeva però che sarebbe accaduto così presto.
Stava giusto mettendosi a sedere quando il suono del campanello catturò la sua attenzione.
 
*
 
«Allora bambini, prendete il libro giallo a pagina 53. Forza»
L’intera classe si mosse contemporaneamente per prendere il librone di grammatica. Poi, ancora tutti insieme, si rivoltarono verso il banco.
La maestra intanto si era seduta alla cattedra e si era portata a due centimetri dal naso un foglio di carta, tenendosi gli occhialini rotondi alti sulla fronte grazie all’ausilio della mano buona, la destra.
Un bambino moro dal fondo della classe emise un risolino. Era l’unico a trovare la cosa divertente? Perché nessuno rideva?
Al suono di quella voce tutti e ventidue i bambini si girarono nella sua direzione, guardandolo seri.
Fortunatamente però la maestra sembrava non essersi accorta di nulla. Meglio così, non osava immaginarsi le bacchettate che avrebbe preso.
La Parkins era una di quelle insegnanti tipiche dei vecchi film. Non mancava giorno che non indossasse un vestito dai colori talmente tenui che i bambini a volte pensavano che, invece di vedere il corpo della maestra, stessero vedendo il muro.  I capelli neri, ricci, erano sempre raccolti in una coda di cavallo alta, tenuta insieme da un nastro rosso. Per non parlare poi del fatto che era cieca come una talpa, portava gli occhiali, ma forse era solo per darsi un’aria più da intellettuale perché neanche con quelli riusciva a distinguere una o da una a.
Il primo giorno che i bambini la videro ne rimasero traumatizzati, soprattutto da quella mano.
C’erano giorni in cui a scuola arrivava col braccio sinistro tenuto contro il petto grazie ad un qualcosa che identificarono poi essere una specie di sciarpa o roba del genere.
 Invece quando veniva vestita normalmente, senza braccio appeso, la scena era abbastanza raccapricciante: vedere quella mano bianca, cadaverica, molliccia penzolare a destra e a sinistra non è un bello spettacolo. Non lo è per gli adulti, figurarsi per dei bambini di sei - sette anni.
Improvvisamente si sentirono degli urli per tutta l’aula.
La donna alzò gli occhi dal foglio e li puntò sulla classe. Poi piano e con lentezza si alzò.
Prese una piccola bacchetta poggiata sopra la cattedra e si diresse in mezzo ai banchi.
Gli occhi dei bambini urlanti divennero due piccole palline enormi. (N.d.A. Ok, non ha senso ma provate a capire ciò che voglio dire)
Il bimbo che prima aveva riso alla scena della maestra alle prese con la lettura, ora si guardava intorno, cercando di sfuggire allo sguardo della donna.  Sfortunatamente questa gli si fermò davanti.
Accadde tutto in poco più di due secondi; si ritrovò con due linee rosse sulle mani, assieme ad un dolore atroce.
I suoi occhi si riempirono di lacrime ma la maestra non si fece problemi. Se ne tornò invece alla cattedra e la lezione proseguì, nel più totale silenzio.
 
*
 
Di sicuro non si era aspettato che arrivasse così presto, ma era sempre il benvenuto in quella casa.
Andres si affacciò alla porta e lo accolse con un sorriso stampato sulle labbra e con un saluto della mano.
Era diventato ancor di più un uomo di città Mark, bastava notare lo sguardo sbalordito, ma allo stesso tempo perso che aveva di fronte alla vasta campagna che circondava la casa. Eppure un tempo anche lui viveva lì.
Per lui che, abituato a vivere in mezzo a mille rumori, ritrovarsi ora nel più assoluto silenzio, spezzato solo dall’abbaiare di un cane, era un po’ come ritrovarsi a percorrere un labirinto, stordito e confuso, quasi con un senso di inadeguatezza addosso.
Un uccellino in lontananza riscosse Mark, facendolo tornare con i piedi per terra. Per un momento quello gli era sembrato un posto incantato, di quelli di cui si narrano nelle fiabe per bambini.
Ricambiò il saluto di Andres e sollevò le due valige che aveva posate per terra.
Vide l’altro avvicinarsi al cancello ed aprirlo. Quasi non si accorse che voleva aiutarlo con i bagagli.
«Sono contento che tu sia qui, Mark.»
Gli occhi di Andres brillavano di felicità.
Mark gli sorrise.
«Anche io, amico mio.»
Insieme entrarono nel giardino della casa.
Da fuori era bello, ma da dentro era tutto un altro paio di maniche, era stupendo.
Un profumo dolciastro invase le sue radici mentre percorreva un piccolo vialetto all’ombra dei rami degli alberi da frutto. 
Ai piedi di ognuno di questi notò alcune piccole aiuole piene di margherite e rose di variegati colori.
Quando i suoi occhi si posarono sul centro del giardino non potè fare a meno di sgranare gli occhi: un’enorme aiuola piena di orchidee viola e bianche era protetta da una rete bassissima.
Al suo interno poi era presente una fontana .
Sperava davvero che ci fossero stati anche i pesci rossi, li adorava!
Certe cose lui se le poteva anche sognare lì in città!
 
Una volta entrati in casa si presentò agli occhi di Mark una semplice villetta, riempita di cose ordinarie che certamente aveva anche lui nella propria casa.
Poggiò la propria valigia a terra e si voltò verso Andres.
«Che fine hanno fatto i mobili antichi?»
Erano presenti mobili moderni, a lui del tutto sconosciuti, quando invece quelli che c’erano erano molto più belli esteticamente e cari, in quanto legati ad un momento della propria vita che, volente o dolente, nessuno può dimenticare.
Lui era andato lì per cercare di chiarire, per cercare di ricordare visto che tutto quello che sapeva era circondato da un alone di nebbia talmente fitto che se avesse preso un coltello questa sarebbe potuta cadere a terra.
Sapeva che quella casetta gli era mancata sin dal primo giorno in cui le aveva detto addio. Purtroppo ne ricordava solo i mobili, quei bei mobili di legno antico su cui più volte aveva passato la mano affascinato.
Ricordava perfettamente il loro primo incontro, che passava tutto il tempo con lui, che gli altri lo guardavano male e che poi se ne era andato. Dopo di ciò non ricordava nulla di lui, a parte il casino che gli aveva combinato.
Andres cercò di guardare da tutt’altra parte, non riusciva a sostenere il suo sguardo perso di fronte a tale vista.
Poggiò anche lui la valigia a terra.
«Sono in soffitta. Ci sono ancora tutte le cose che c’erano l’ultima volta che li hai visti.»
La sua voce tremava appena e si stava torturando le mani.
In un certo senso gli sembrava strano parlare di cose del genere. Anzi, gli suonava proprio strano parlare con lui, quando una volta per capirsi bastava uno sguardo.
Poi, inaspettatamente, due paia di braccia che stringevano l’altro. Purtroppo però, non era più come prima, c’era un muro, seppur piccolo, che li divideva.
 
Nessuno dei due sapeva che quel muro sarebbe cresciuto a dismisura.
 
*
 
Erano passate poco più di tre ore, era l’una precisamente, quando si sentirono delle voci nel corridoio della casa.
Mark era stato alloggiato nella camera degli ospiti al piano superiore.
Appena aperta la porta era rimasto leggermente spiazzato.
“Vi prego ditemi che questo è uno scherzo!”
Le mura erano colorate di uno strano bianco rosato, mentre un fascio di luce entrava dalla finestra lasciata aperta, assieme ad un leggero venticello.
Il letto, singolo, era posto all’angolo sinistro della stanza; alla destra della porta  vi era un grande armadio in legno di noce, con tanto di specchio appeso esternamente alle ante, e alla sinistra una grande scrivania di legno chiaro faceva bella mostra di sé.
Andres intanto era rimasto di sotto e, mentre l’altro sistemava la sua roba nella stanza, si era spaparanzato sul divano con in mano alcuni fascicoli a cui doveva finire di dare un’occhiata: un’anziana signora aveva fatto causa al comune per una firma falsa.
Ricordava ancora quando, qualche settimana prima, mentre si stava godendo un attimo di pace assieme ad un delizioso caffè, aveva sentito qualcuno bussare alla porta. Entrò la sua segretaria, una donna di mezz’età ma pur sempre di bell’aspetto, accompagnando un’anziana sotto braccio. Si era affrettato a posare la bevanda sul ripiano della scrivania e ad aiutare Ludmilla a far sedere la donna. Questa poi aveva iniziato a blaterare qualcosa di cui non aveva afferrato il significato, un mezzo tedesco mischiato a qualche altra lingua che lui personalmente non conosceva.
Con molta pazienza, dopo ben quattro ore, erano riusciti a capire per lo meno come si chiamava, dove abitava e a farsi dare un numero di cellulare del figlio.
Appena chiamato, questi si era precipitato lì, portandosi dietro addirittura la bambina, che non avrebbe dovuto avere più di cinque o sei mesi.
Alla fine, grazie al suo aiuto, sapevano che la donna non era tedesca, bensì russa e che si erano trasferiti da poco lì.
Ancora gli veniva da ridere se ripensava all’impresa di quel giorno. Poco dopo, vista l’ora, si era deciso a preparare il pranzo.
Stava giusto scolando la pasta quando aveva sentito sua moglie e suo figlio rientrare in casa.
Si affacciò in corridoio e prese per un pelo il suo piccoletto il quale, appena notata la presenza del padre, si era precipitato a tuffarsi tra le sue braccia.
Con un braccio attorno al corpo del figlio, avvolse l’altro attorno alla vita di Simona non appena questa le passò di fianco e premette le proprie labbra contro quelle della donna che però si divincolò dalla sua presa.
«Sono ancora arrabbiata con te per ieri sera»protestò, facendo la finta offesa e voltando il capo dall’altra parte.
I lunghi capelli rossi, muovendosi, intrappolarono un raggio di sole e vi comparve un riflesso dorato.
«Ne parliamo dopo. Ric, vai a mettere lo zaino in cameretta che poi ti faccio conoscere una persona.»
Sorrise notando il lampo di allegria che comparve negli occhi del piccolo.
Semplicemente adorava le nuove conoscenze.
«Quando è arrivato?» gli chiese la moglie che intanto aveva posato la propria borsa in salotto.
Andres ci pensò su.
«All’incirca tre ore fa, o forse di meno, non ricordo con esattezza.»
Poi, a passo spedito, tornò in cucina e, da uno dei mille cassetti, tirò fuori una tovaglia.
«E questa che diavolo è?!» sbottò non appena riuscì ad osservarla meglio, leggasi come sul tavolo, pronta per essere riempita di roba sopra.
Una folta cascata di capelli ramati, assieme ad un paio di vivaci occhi smeraldo, comparvero dalla porta del retro cucina.
«Che cosa?»
Andres non sapeva se quella poteva considerarsi come una tovaglia. Il ruolo più appropriato per quel pezzo di stoffa rettangolare era sicuramente quello di straccio.
Simona intanto aveva capito a cosa si stesse riferendo il marito.
«Oddio, non dirmi che stai parlando della tovaglia, ti prego!»
E così dicendo ci appoggiò sopra quattro piatti.
L’uomo si mise letteralmente le mani nei capelli e, così come la moglie li aveva messi, lui li tolse, mentre questa lo guardava quasi con fare provocatorio.
«Adesso mi dici cos’ha questa tovaglia che non va!» sbottò quella con le mani sui fianchi.
«Cos’ha che non va?! E me lo chiedi pure?!»
Non riusciva a crederci, veramente Simona gli stava chiedendo questo? O era uscita fuori di testa, o qualcuno aveva messo un clone di sua moglie al posto di quella originale.
Aveva anche il coraggio di chiederglielo?
Con fare stizzito indicò il tavolo.
«Io non mangio su di... quella sottospecie di tovaglia! E’ escluso! Cioè, dai! E rosa!» concluse come se fosse la cosa più naturale del mondo «Ed ha le paperelle!» continuò notando il sopracciglio di Simona molto inarcato.
La vide trattenere a stento una risata e poi scoppiare definitivamente a ridere mentre lui, con le braccia conserte, faceva una faccia da finto offeso.
«Come ho fatto ad innamorarmi di uno scemo così proprio non lo so» , ma i suoi occhi brillavano di felicità.
Poi lo baciò.
 
Riccardo intanto saliva le scale con in spalla il suo fidato zainetto.
Lo adorava, era tutto blu con qualche disegno bianco o nero.
Quel giorno però era davvero pesante: la maestra aveva preteso che portassero il libro giallo e già solo quello pesava tantissimo, in più vi erano quelli di altre materie, come matematica.
Arrivato all’ultimo gradino il bambino  inciampò con il laccio della propria scarpa.
Mentre cadeva portò istintivamente le mani in avanti per proteggersi ma quelle non toccarono mai terra.
Impaurito, il piccolo aveva chiuso gli occhi.
Sentendo però che non aveva urtato niente li riaprì e si ritrovò stretto tra due paia di braccia che non aveva mai visto.
Alzò lo sguardo sul viso di quella persona e vide due occhi marroni assieme a dei riccioli neri.
«Sembrano cioccolata» sussurrò sorridendo, non abituato a trovarsi così vicini degli occhi castani.
Poi in famiglia nessuno li aveva di quel colore!
 
 
 



Questa è la stanza dove viene ospitato Mark:


Trailer


Edited by Dollars1995 - 10/9/2010, 16:52
 
Top
» Nika «
view post Posted on 1/2/2011, 13:07




Bellissimo <3

Oddio la scena della maestra è inquietante!!
Ma poi spiegherai il motivo per cui la sua mano è conciata in quel modo? Sono curiosa U_U
 
Top
Dollars1995
view post Posted on 7/3/2011, 13:38




Forse si, forse no
Non so neanche se apparirà più...
 
Top
2 replies since 3/9/2010, 19:55   52 views
  Share